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Il lavoro scientifico di Nazareno Strampelli

Quando Strampelli arrivò a Rieti non iniziò a lavorare subito all’ibridazione del frumento ma, in modo più coerente con quello che era la Cattedra ambulante che dirigeva, sulle malattie del grano, ed in particolare a quella dovuta all’Ustilago Carbo, utilizzando il Rieti originario come punto centrale delle sue indagini.
Studiò poi l’azione oligodinamica di alcune sostanze chimiche come il manganese, e rivolse la sua attenzione anche alle tipologie di concimazione, nonché alle rotazioni agrarie e alle tecniche di lavorazione del suolo nella valle reatina.
Ma il principale lavoro di questa sua prima fase di impegno scientifico nel capoluogo sabino fu il suo studio sul frumento Rieti originario che, come abbiamo visto, ricopriva un significativo ruolo nella granicoltura nazionale, e decisamente centrale nell’economia locale.
Egli, già nel 1900, al fine di studiare un frumento adeguato per l’area camerinese dove il Rieti era soggetto all’allettamento e il Noè alle ruggini, aveva proceduto ad incrociare i due frumenti ottenendo buoni risultati in prima generazione (F1) ma pessimi in seconda generazione (F2), per la nota legge mendeliana sulla disgiunzione dei caratteri.
Il suo obiettivo era quello di migliorare la qualità del frumento reatino elevandone la produttività, anche con nuove tecniche di concimazione, e combattendo il suo principale limite che era quello dell’allettamento, che limitava fortemente il suo principale pregio, cioè a dire la forte resistenza alle ruggini.
La strada della selezione razionale e fisiologica era quella che la cultura scientifica dominante del tempo considerava come l’unica percorribile, ed anche egli si mosse in questa direzione, sia lavorando direttamente in questo senso, sia prendendo iniziative indirizzate a coinvolgere il mondo dell’agricoltura locale intorno all’attività della cattedra.
Cosi nel 1904 bandì in concorso a premi tra i produttori del Rieti originario che avrebbero dovuto avviare un lavoro di selezione che sarebbe terminato un triennio dopo.
Strampelli era convinto che il Rieti originario, qualora si fosse praticata una adeguata selezione, poteva diventare in breve tempo il miglior frumento da seme italiano, obiettivo raggiungibile anche con il coinvolgimento diretto dei produttori locali offrendo loro "… il miraggio del possibile conseguimento di qualche premio “
Al concorso potevano partecipare solo i “…proprietari ed affittuari che coltivano terreni alluvionali della valle reatina” , i quali dovevano seguire le istruzioni impartite da Nazareno Strampelli il quale specificò come “..la selezione dovrà incominciare sul raccolto di quest’anno con la scelta delle spighe migliori (cioè più lunghe, meglio conformate, più ricche di semi e per conseguenza più pesanti) facenti parte dei cesti più numerosi e non allettati e col ritenere buone per la prossima semina solo le migliori granella della parte mediana delle spighe scelte e che è obbligo di ogni concorrente di mandare a questa cattedra prima del 30 luglio p.v un campione delle dette spighe e granella selezionate.”
Il concorso fu vinto dal marchese Benedetto Cappelletti, mentre ai posti successivi si classificarono altri grandi proprietari del reatino come Potenziani , Fiordeponti, Pilati, e Pitoni, (6) ma Strampelli non intendeva impegnarsi più di tanto in questa direzione.
In realtà, se l'immagine esterna del lavoro di Strampelli era quella di un semplice direttore di cattedra ambulante, egli già nel 1904 utilizzò quel primo fondo agricolo di Setteponti concessogli dal principe Potenziani, per mettere a coltura 240 diverse qualità di frumento che si era fatto arrivare da ogni parte del mondo, scegliendole tra quelle che nei rispettivi paesi di origine fornivano rese di molto superiori a quelle che generalmente si ottenevano in Italia.
Nel 1907, intervenendo con una comunicazione al VI congresso internazionale di chimica applicata di Roma, Strampelli presentò i risultati di quel suo lavoro, per altro non particolarmente originale, almeno per quanto concerne il percorso di indagine sull’ acclimatizzazione dei frumenti stranieri, visto che ad analoghi risultati erano già stati constatati dal prof. Giglioli che operava ad Acerra.
In sintesi Strampelli provò a vedere cosa succedeva coltivando nella valle reatina tipologie frumentarie di gran resa usate nel resto del mondo.
I risultati furono disastrosi, tanto che la totalità dei grani venne pesantemente attaccata dalla ruggine, e le spighe si presentarono nere, quasi del tutto prive di chicchi, fino al punto che fu difficile perfino raccogliere un minimo di prodotto da utilizzare come seme per l’anno successivo.
Ripiantato quanto raccolto tra il 1903 e il 1904, il risultato fu un minor danno provocato dall’attacco della ruggine, e cosi progressivamente negli anni successivi.
Di fatto c’era stato un progressivo adattamento di questi frumenti all’habitat della valle reatina, e di conseguenza agli attacchi dalle ruggini, senza però neanche avvicinarsi alle proprietà del Rieti, e senza raggiungere i livelli di produttività che essi manifestavano nei paesi di origine.
Al congresso di chimica applicata, Strampelli presentò una importante novità e cioè che, contrariamente a quanto si credeva, il Rieti originario non era affatto immune dall’attacco dalle ruggini, anzi, in base alle sue osservazioni, era il primo in ordine di tempo a presentare pustole rugginose sulle foglie, ma mai sul culmo, con il risultato che i danni che ne derivavano erano praticamente nulli, quasi si trattasse di una sorta di vaccinazione che proteggeva il frumento reatino nel proseguo del suo ciclo vegetale.
Era evidente che Strampelli tornasse a concentrarsi sul Rieti originario ponendosi il problema di modificarne le qualità, o introducendo i caratteri di resistenza alle ruggini in frumenti di grande resa, o trasferendo le caratteristiche di questi nel Rieti.
Più tardi nel ripercorrere le tappe del suo lavoro, ebbe a scrivere:
Chiaramente quindi si delinearono innanzi a me due vie da tentare e cioè 1) provare ad indurre nelle migliori varietà esotiche, precocità e resistenza alle ruggini; 2 ) cercare di dare al Rieti ciò che gli manca, ossia paglia forte e resistente all’allettamento
Quindi, in questa fase Strampelli era impegnato sul terreno dei più accreditati studi di selezione genealogica, ma che già preludeva di fatto ad un approccio di manipolazione genetica.
Per realizzare la selezione genealogica Strampelli creava dei mini appezzamenti separati, in ognuno dei quali coltivava la granella prelevata da un' unica spiga facendo attenzione a scegliere quelle che si presentavano in modo difforme dall’insieme della massa dei grani.
In tal modo egli riuscì ad isolare alcune centinaia di linee pure, morfologicamente differenti tra loro, anche se per caratteri minimi come il colmo rosso e spiga bianca, spiga bianca e antere rosse ecc.)
L’unico risultato di una certa consistenza che egli ottenne fu un tipo a cui venne dato il nome di Rieti 745, caratterizzato da una pur minima maggiore produttività rispetto al Rieti originario, ma nessun progresso era stato fatto per quanto concerneva il punto critico dell’allettamento.
Secondo Strampelli tale rigidità di risultati era facilmente spiegabile proprio con la specificità del frumento della valle reatina, da secoli utilizzato come preziosa semenza, e come tale protetto in un habitat chiuso dal contatto con altre varietà che avrebbero potuto generare delle ibridazioni spontanee in grado di produrre quelle che egli definiva “fortunate mutazioni”.
Non a caso notava che “ …se si sono trovate modificazioni (sia pur lievi) di caratteri nel Rieti originario, si sono trovate lontano dall’ambiente naturale a questa varietà"
Era quindi un percorso con scarse prospettive quello della selezione genealogica del Rieti originario, e Strampelli imboccò la strada dell’ibridazione che in verità già seguiva in modo parallelo, quasi che attestare la non praticabilità della tradizionale selezione fosse un atto dovuto per giustificare un suo totale impegno sul terreno sperimentale della manipolazione genetica.
Anche l’ acquisizione dei centinaia di varietà di frumenti da ogni parte del mondo servì certamente per studiarne l’acclimatazione, ma come egli stesso disse più tardi, “…per avere altresì a disposizione il materiale necessario ai progettati lavori di incrocio”
In altri termini egli era convinto che con la selezione genealogica era possibile accentuare i caratteri già esistenti in un determinato frumento, ma, per introdurre caratteristiche che questo non possedeva, il percorso genetico era l’unico percorribile.
In realtà Strampelli sapeva benissimo che praticando la selezione in un ambiente diverso da quello reatino, si potevano ottenere risultati diversi, cosi come fece Francesco Todaro, il massimo fautore della scuola della selezione genealogica che lavorò sul Rieti originario nel bolognese riuscendo ad ottenere linee pure di sicuro pregio tra le quali il Rieti 11 che trovò un significativo impiego in numerose parti d’Italia.
Qualche sospetto che Strampelli non abbia voluto percorrere fino in fondo la strada della selezione, venne nel 1929 a Corrado Peroni il quale, pur riconoscendo l’indubbia validità del lavoro svolto sul Rieti originario, riferendosi alle varietà individuate dal Todaro ebbe a scrivere:
..non sappiamo persuaderci come tali forme non siano state pure notate ed isolate nell’agro reatino dallo Strampelli per quanto limitata fosse la possibilità di imbattersi in esse.
In verità Strampelli sapeva che procedendo ad un lavoro di selezione in ambiente diverso, anche i risultati potevano essere diversi, e ciò non tanto e non solo per l’impiego del Rieti in altri ambienti , ma soprattutto per l’azione “…di ibridazioni spontane”
Era l’ idea di sperare di incontrarsi con la casualità di mutazioni genetiche che non affascinava affatto Strampelli, il quale voleva essere egli stesso a generarle e controllarle, e su tale aspetto intrattenne, come vedremo, una forte polemica con Francesco Todaro.
Per altro non è neanche ipotizzabile che i tipi isolati poi da Todaro nel bolognese sul Rieti originario non fossero stati notati da Strampelli.
E’ più logico pensare, seguendo proprio il suo ragionamento, che questi non esistevano affatto nel Rieti originario della valle reatina, ma appartenevano solo a quello utilizzato nella valle padana in seguito a forme di ibridazione spontanea che il frumento reatino aveva subito in quell’area grazie al contatto con un ambiente diverso, e soprattutto a quello con altre specie frumentarie che non esistevano nel luogo di origine.
D’altra parte la relativa frequenza dell’ibridazione casuale del frumento era già stata attestata fin dalla seconda metà dell’ottocento dal Delpino nel parmense , fino al punto che non pochi erano i fautori della tesi che i tipi nuovi comparsi in una popolazione apparentemente uniforme, non erano dovuti a mutazioni ma ad incroci spontanei.
Quello delle ibridazioni spontanee non era affatto considerato un terreno scientifico percorribile, ma, al contrario, un vero e proprio problema in quanto, come sosteneva Ehle Nilsson, direttore della ben nota stazione sperimentale di Svalöf in Svezia, rappresentava un ostacolo al mantenimento e controllo delle razze pure.
Qualcuno ci provò a realizzare degli ibridi artificialmente ma senza ottenere risultati di qualche significato, come Maud, Vilmorin, Pringle e Blount.
Rimpau in Germania tentò anche un incrocio intergenerico tra grano e segale senza ottenere alcun risultato agrario, esperimento questo che riuscì invece pienamente a Strampelli nel 1902.
Non c’era alcuna convinzione di poter ottenere risultati sul terreno dell’ibridazione, e i vari esperimenti realizzati, più per curiosità che per progetto scientifico, venivano lasciati cadere di volta in volta.
Il primo a crederci davvero fu Strampelli, e iniziò un lavoro di esame microscopico delle sezioni dei culmi di vari frumenti da cui dedusse che la resistenza all’allettamento era dipendente dalla conformazione di questi.
Un culmo basso è più resistente di quello alto, e quello a diametro più grande lo è più di quello a diametro più piccolo:ma il culmo basso produce poca paglia, il culmo a diametro grande produce invece paglia scadente, poco utilizzabile per gli animali domestici;e se un colpo di vento fortemente impetuoso riesce a piegarlo, esso si spezza e non si raddrizza più 19
Quindi diventava fondamentale concentrarsi sulla struttura anatomica del culmo, soprattutto sulla sua impalcatura interna.
L’obiettivo di Strampelli fu quindi quello di generare un culmo certamente forte, ma contestualmente dotato di una elasticità in grado “…non solo di piegarsi senza rompersi, sotto la pressione e l’impeto dei venti, ma anche di sapersi poi raddrizzare appena cessata la meteora.”
Strampelli aveva notato che tale proprietà era posseduta da quelle piante il cui culmo era dotato di molteplici fasci libro-legnosi, la cui sezione era allungata nel senso del raggio del culmo, i quali si presentavano disposti in più serie concentriche.
Nel Rieti originario la presenza di fasci libro-legnosi era decisamente scarsa, a differenza ad esempio di altri frumenti come il Triticum Villosum, e secondo lui questo spiegava la scarsa resistenza all’allettamento del frumento reatino
Fu quindi sufficiente procedere all’incrocio genetico dei due frumenti per ottenere un risultato positivo che in ogni caso dava forza alle ipotesi dello scienziato.
Ma quale era il sistema utilizzato da Strampelli nel suo lavoro.
Per comprenderlo,almeno nei suoi tratti essenziali, dobbiamo far ricorso alle leggi mendeliane sull’ibridismo.
In estrema sintesi, nelle cellule sessuali sia maschili che femminili non esiste un'unica forza ereditaria,ma tanti elementi indipendenti tra loro, i fattori ereditari o geni, ognuno dei quali è in grado di riprodurre uno specifico carattere morfologico o fisiologico.
All’atto della fecondazione, i geni si sommano tra loro per poi tornare a disgiungersi nel momento della formazione delle cellule sessuali della generazione successiva.
E’ ovviamente necessario limitare il nostro discorso al mondo delle piante che si presentano quindi non come organismi unitari, ma come aggregati di elementi.
Due diverse razze possono avere in comune uno o più caratteri elementari, ma, in funzione della loro affinità, differiranno tra loro con caratteri opposti, definiti appunto caratteri antagonistici o allelomorfi ,l’uno dominate e l’altro remissivo, in funzione della forza di trasmettersi nel primo individuo riprodotto dall’incrocio.
Nella prima riproduzione domina la cosiddetta legge mendeliana della dominanza in base alla quale l’individuo riprodotto possiede i carattere dominanti di entrambi i genitori.
L’ibrido che si riproduce poi con fecondazione propria, genera una progenie di individui tre quarti dei quali possiedono i caratteri del progenitore dominante, e un quarto quelli remissivi dell’altro genitore.
Un esempio servirà meglio a comprendere il concetto.
Ipotizziamo di dover incrociare due tipi di frumenti differenti tra loro per la colorazione della spiga, nel primo bianca nell’altro rossa.
I chicchi ottenuti dall’incrocio, in base ad una metodologia che vedremo meglio in seguito seguendo il lavoro di Strampelli, vengono seminati, e il prodotto che otterremo è quello di prima generazione (F1) con le spighe uniformi di colorazione rossa, in quanto il rosso è elemento dominante sul bianco, ed è noto che in base alla legge sull’uniformità dei caratteri compariranno solo i caratteri dominanti.
Le cariossidi ottenute vengono di nuovo seminate per produrre una seconda generazione (F2) nella quale si manifesta la legge della disgiunzione dei caratteri, cioè a dire otterremo in percentuali diverse spighe rosse e bianche.
Normalmente si riteneva che la disgiunzione dei caratteri in F2 si manifestasse in modo casuale, ed è li che normalmente venivano abbandonate le sperimentazioni.
Fu Strampelli a comprendere empiricamente, cosa che Mendel aveva già annotato tra le sue leggi, che tale processo di disgiunzione non era affatto casuale,ma ubbidiva a regole precise.
In pratica in F2 si otterranno tre quarti di spighe rosse e un quarto bianche le cui cariossidi dovranno successivamente essere divise e coltivate separatamente .
Siamo quindi alla terza generazione (F3) nella quale le cariossidi delle spighe rosse produrranno un quarto di spighe rosse che resteranno tali anche nelle generazioni successive, mentre due quarti di spighe saranno ibride, cioè a dire nelle generazioni successive produrranno una ulteriore disgiunzione di caratteri,e un’ultimo quarto saranno bianche, fisse anche esse.
Strampelli aveva già seguito questo percorso fin dal 1900 quando incrociò il Rieti con il Noè, e in prima generazione (F1) aveva ottenuto esattamente ciò che egli aveva progettato ,cioè l’unione dei caratteri del Rieti, sommati a quelli del Noè.
Si era praticamente concretizzata la legge della uniformità in F1.
Egli pensò di riseminare quanto ottenuto semplicemente per avere maggiore semenza da moltiplicare , ma nel nuovo raccolto la delusione fu enorme in quanto scomparse del tutto l’uniformità della varietà creata, e sul suo campo maturarono centinaia di forme diverse di spighe.
Era la legge della disgiunzione dei caratteri in seconda generazione (F2).
Le teorie scientifiche del tempo erano chiare, e si fondavano sulla convinzione della non fissità degli incroci che, nelle generazioni successive alla prima, altro non facevano che riproporsi con le caratteristiche dei genitori su cui si era basata l’ibridazione.
Incroci se ne erano provati a fare proprio nello stesso periodo in cui operava Strampelli, a cominciare dal prof. Passerini che nel 900 presso l’istituto agrario di Scandicci aveva effettuato l’incrocio del Gentil rosso con il Noè, mentre altri tentativi vennero effettuati nel 1903 dal Soleri a Cuneo.
Va ancora ricordato che le leggi che l’abate agostiniano Gregorio Mendel aveva scoperto nel 1865 a Brünn erano rimaste del tutto sconosciute, e che quindi egli altro non stava facendo che seguirne il percorso senza conoscerle.
Egli aveva quindi iniziato con l’intuire la legge dell’indipendenza dei caratteri fin dal 1900 quando sdoppiò quelli positivi del Rieti, e quelli positivi del Noè, per accoppiarli e generare un nuovo tipo che li contenesse entrambi.
Nella successiva sperimentazione si incontrò in tutta evidenza con la legge della disgiunzione dei caratteri in F2, e aveva proseguito con la selezione genealogica dei discendenti isolando, più o meno consapevolmente, gli individui omozigoti, cioè a dire vere le proprie cellule sessuali generate dalla fusione di elementi della stessa natura.
Fu la chiave di svolta, in quanto proprio isolando e selezionando metodicamente gli individui partoriti da un incrocio si riuscì alla fine a giungere alla fissazione di una precisa forma genetica, proprio come aveva intuito Mendel.
Va detto che non è possibile accreditare unicamente a Strampelli la primogenitura di tale percorso scientifico in quanto proprio nello stesso periodo altri tre grandi scienziati stavano, per altro all’insaputa l’uno dell’altro, percorrendo la stessa strada, Correns a Tubigen, Tschermak a Vienna e De Vries ad Amsterdam.
A comunicare a Strampelli l’esistenza di quella ben nota memoria di Gregorio Mendel rimasta pressoché ignota per circa 35 anni, fu nel 1905 il Cuboni nel corso di una sua visita alla Cattedra ambulante di Rieti.
Come scrisse più tardi Benedetto, figlio dello Strampelli, “…la conoscenza di queste fugarono completamente ogni dubbio nella mente dello Strampelli, e coordinarono e fusero in un tutto organico i bagliori di verità già dallo Strampelli intraveduti, per cui la conoscenza degli studi di Mendel furono per lo Strampelli la luce polare che gli permisero un più rapido orientamento verso la meta.”
In effetti la memoria dell’abate Mendel, Verucher über Pflanzenhybriden pubblicata nel 1866 negli atti dell’accademia di Brünn era rimasta del tutto sconosciuta, e fino alle soglie del 1900 non trovò alcun seguace.
Per altro la memoria pubblicata da Mendel riporta solo parzialmente l'esperienza che egli aveva fatto con i piselli, e altrettanto parziali sono le notizie sul lavoro compito riguardo ai bastardi di Hieracium pubblicate nel 1870
La varietà delle sue scoperte Mendel non le pubblicò mai, comunicandole solo a Karl Nägeli in una lunga corrispondenza che il Correns pubblicherà solo nel 1905.
Ancora nel 1900 il grande botanico olandese De Vries pubblicò nei Comptes Rendus dell’Accademia delle scienze di Parigi una breve nota Sur la loi de disjonction des hybrides, senza conoscere per nulla le leggi mendeliane delle quali quanto egli scriveva vi era ampiamente contenuto.
Sempre nel 1900 Tschermak pubblicava Ueber Künstliche Kreuzung bei Pisum sativum ), e il Correns G.Mendel's Regel über das Verhalten der Nachkommenschaft derRassenbastarde, riconoscendo di fatto le leggi mendeliane e portandole a conoscenza della comunità scientifica dopo che essi stessi, e De Vries, ne avevano seguito inconsapevolmente le orme.
Gli effetti furono come è noto devastanti per la tradizione scientifica del tempo che in un sol colpo vide rimettere in discussione le teorie lamarkiane, e soprattutto quelle evoluzionistiche di Darwin.
Di fatto la selezione naturale poteva portare a modificare una specie, perfino ad estinguerla, ma non poteva generarla, cosi come fino ad allora si riteneva.
Ma Strampelli al pari di Tschermak, de Vries e Correns, aveva già ripercorso la strada di Gregorio Mendel arrivando proprio in quell'anno a realizzare il primo ibrido Noe x Rieti intuendo un percorso di ricerca che come vedremo egli condusse per oltre un quarantennio.
Giuseppe Cuboni, direttore della Regia stazione di patologia vegetale di Roma, fu tra i primi ad introdurre in Italia le leggi di Mendel, dandone notizia nel 1903 in un suo saggio che si concludeva con le possibili applicazioni in campo agrario:
(le leggi di Mendel)… ci faranno sperare che non sia lontano il giorno in cui sarà possibile predire, con sicurezza matematica, i risultati di un dato incrocio e con questo mezzo nuove forme e nuove varietà saranno ottenute, rispondenti ai desideri e ai bisogni dei coltivatori
Cuboni scriveva questo articolo nell’agosto 1903 da Albano Laziale, e non sapeva ancora che a pochi chilometri c’era chi stava già lavorando proprio in questa direzione.
Se ne accorse due anni dopo, visitando la cattedra che Strampelli dirigeva a Rieti, e rimase entusiasta di quanto stava accadendo, tanto da scrivere un apposito articolo sul Bollettino della società degli agricoltori italiani.
Egli ricordando quanto era accaduto nell’ultimo congresso degli agricoltori italiani, dove vi fu chi sostenne che la scienza nulla aveva più da offrire in campo agricolo, lamentava lo scarso impegno del governo nei confronti della ricerca scientifica in questo settore, soprattutto per quanto riguardava le stazioni agrarie che l’allora Ministro Rava aveva promesso di sostenere con nuovi e adeguati finanziamenti.
In attesa che queste promesse diventino realtà – scriveva Cuboni – consoliamoci a constatare che non ostante la quasi indifferenza del pubblico e la grande scarsità di mezzi, qualche tentativo serio di applicazione dei metodi rigorosi e scientifici per la soluzione di alcuni problemi agrari si viene facendo anche da noi. Come un bell’esempio di siffatti tentativi meritano di essere citate le esperienze di granicoltura istituite dal prof. Nazareno Strampelli a Rieti.
E proseguiva:
Nei tentativi di ibridazione per formare nuove varietà, lo Strampelli era guidato dal concetto di combinare la varietà locale del frumento reatino, che, come tutti sanno, ha il pregio di una notevolissima resistenza alla ruggine, con altre varietà migliori del Rieti….Il bravo professore ha fatto la fecondazione artificiale di ben 2720 fiori e la fecondazione è riuscita sopra 1089.Gli ibridi ottenuti sono 53, nei quali il Rieti funziona 27 volte da maschio e 26 volte da femmina.
Certo Strampelli stava solo all’inizio del suo lavoro, e doveva ancora vedere i risultati dei suoi 53 ibridi, ma il Cuboni che da allora resterà sempre vicino allo scienziato reatino, ne intuì subito le straordinarie potenzialità tanto da fargli concludere che quanto stava accadendo nella semplice cattedra ambulante “…faceva sperare che Rieti , mercè gli studi e le ricerche del bravo prof. Strampelli, sarà in grado di offrire all’Italia nuove varietà di un frumento adatto ai nostri climi e alle moderne esigenze colturali, e tale da non aver nulla da invidiare alle migliori qualità straniere”
Cuboni aveva intuito benissimo quale sarebbe stato il risultato del lavoro di Strampelli che non stava creando semplicemente varietà confrontabili con i tipi esteri di gran resa, ma stava sulla strada che lo condurrà a creare in assoluto i migliori grani del mondo, come il Damiano Chiesa che stracciò ogni record mondiale di produzione unitaria con ben 82 q.li per ettaro.
Nel 1908 lo fece invitare dalla Società degli agricoltori italiani a tenere una conferenza sui risultati raggiunti a Rieti, dopo quella che egli avrebbe tenuto riferendo sul suo recente viaggio nel prestigioso istituto sperimentale di Svalöf , e tramite di lui Strampelli ebbe i primi contatti con l'Accademia dei Lincei, e con l'Institut International d'Agricolture.
Per quanto concerne il suo metodo di lavoro, fu lo stesso Strampelli a descriverlo fin dal 1907 nel corso di una conferenza per il congresso agrario di Cologna veneta.
“La tecnica dell’ibridazione anche nel frumento è molto facile e costituisce niente di più che un esercizio di pazienza; voglio però ugualmente esporre quella da me seguita, acciocché si possa giudicare del modo come ho operato. Per comodità di lavoro e più specialmente perché, potendone regolare la vegetazione, mi sia possibile praticare la fecondazione artificiale fra piante precoci e tardive, semino in vasi quelle varietà o specie che ho predestinate a fungere da piante femmine. A principio di primavera i vasi di varietà tardive vengono da me collocati nella parte più soleggiata e contro muro rivolto a sud, dell’orto adibito a laboratorio d'ibridazione mentre tengo le precoci nella parte più ombreggiata, e, se ciò non basta, le porto anche in un vano interno pianoterra molto fresco. Così facendo ottengo fioritura contemporanea o poco distanziata tra le piante destinate a funzionare da femmine e quelle da cui si deve prendere materiale per la impollinazione. Al momento opportuno, e cioè quando i fiori presentano le antere completamente verdi e gli stigmi sviluppati, ma ancora chiusi, procedo alla castrazione dei fiori stessi., Per alcune varietà tale momento si ha sei o sette giorni dopo che le spighe si sono liberate dal loro invoglio., per altre invece subito dopo la emissione della spiga e per altre, infine (specialmente per quelle tardive), è necessario operare anche qualche giorno prima, che le infiorescenze escano fuori dell'invoglio, per non trovarvi antere già mature Scelgo nel vaso due, tre, ecc., delle migliori spighe fra le più avanzate o le più arretrate, a seconda dell'opportunità del caso) e tolgo tutte le altre strappandone o tagliandone i culmi. Sulle spighe prescelte faccio una toeletta, che consiste nel sopprimere i fiori troppo arretrati (qualcuno dell'apice e della base, e tutti i fiori mediani o più alti di ciascuna spighetta), lasciando solo quelli che mostrano contemporaneità od uguaglianza di sviluppo. Con apposite pinze, allargando glume e glumelle, apro successivamente tutti i fiori conservati e da ciascuno esporto le tre antere, avendo cura, massima di non toccare menomamente nè ovario né stIgmi. Proteggo le spighe castrate, da fortuite impollinazioni possibili per vento, insetti, ecc., introducendole, ciascuna in un tubo di carta pergamena saldata nella congiuntura longitudinale con collodion, perchè non si apra per umidità od acqua. Chiudo ciascun tubo superiormente ed inferiormente con batuffoli di cotone cardato e li assicuro ciascuno ad una canna conficcata nella terra del vaso . La carta pergamena consente il passaggio della luce, il cotone rende possibile la circolazione dell'aria, ma l'una e l'altro impediscono che polline, non voluto, vada sulle spighe. Al disopra, poi di ciascuno dei tubi, ma abbastanza scosto da non ostacolare la circolazione dell'aria, applico, fissandolo alla stessa canna di sostegno, un cartoccio conico, pur esso di carta pergamena, con la base in basso, per impedire che la pioggia o la rugiada abbiano da bagnare il batuffolo superiore (vedi figura in 1' pagina). Ogni spiga ha un cartellino ove incomincio dal segnare la data di castrazione e poi successivamente quella di ibridazione e le annotazioni del caso, compreso il binomio dell'ibrido tentato. Quando gli organi femminili sono pronti per ricevere la impollinazione, e cioè è facile riconoscere dalle piumette dello stigma turgide ed allargate, allora, non prima e non dopo, procedo alla fecondazione artificiale […]Per procurarmi il polline, colgo nell'aiola della varietà predestinata a fungere da maschio, un certo numero di spighe portanti, nell'interno dei fiori, antere gialle mature o molto prossime alla loro maturazione; riunite in Mazzetti le scuoto accuratamente per far cadere polvere e quanto può aver aderito sulle glume, sulle ariste, ecc.; portatele in laboratorio, le colloco entro vasi, immergendo la parte tagliata dei culmi in acqua, e le espongo al sole. Mano, mano ritiro i mazzetti e da ciascun fiore di ciascuna spiga estraggo le antere più gialle e mature che lascio cadere sopra un foglio di. carta pergamena. Le antere mature esposte all'aria deiscono e lasciano uscire polline dalle loro logge. Porto -polline ed antere sopra un piccolo staccino a rete metallica con maglie di circa mezzo millimetro di diametro, ed agito-le antere terminano di vuotarsi completamente e tutto il polline, passando a traverso le maglie della rete,' viene a raccogliersi ìn un vetro da orologio posto sotto lo staccino stesso. Ne, i primi. anni di questo lavoro trovai comodo avvolgere i mazzetti di spighe con cartocci conici di carta pergamena, per raccogliere in essi, durante l'esposizione al sole, il polline votato dalle antere uscite dalle glume, solevo anche, prima di accingermi ad estrarre le antere, di scuotere le spighe sul foglio di carta pergamena per raccogliervi tutto il polline di cui le spighe stesse erano imbrattate, ed anche questo polline usavo nella fecondazione artificiale. Ricerche ed osservazioni posteriori mi hanno convinto che con tale sistema è facile avere polline inquinato da qualche spora di carbone (già portata dal vento sulle glume, e ,cedelle spighe raccolte) e che quindi con esso è possibile infettare gli ovari con ustilago carbo. Non rari stati i casi. di ibridi che mi hanno date piante carbonchiose nella loro prima generazione non ostante l'accurata medicatura delle sementi e la loro semina in vaso con terreno preventivamente sterilizzato con calore. Ho quindi soppressa questa pratica, che, indubbiamente aveva il pregio della sollecitudine ed anzi, come ho detto più sopra, scuoto accuratamente le spighe prima di esporle al sole. Approntato il polline, senza indugiare, affinché il polline stesso a contatto dell'aria non trasudi e s'impasti, vado subito ad impollinare; liberata la spiga dal tubo di carta pergamena, apro con le pinze le glume di ciascun fiore; coli pennellino, preso il polline dal vetro da orologio, ne spolvero le piumette di ciascuno stimma, e ad operazione compiuta torno a protegger la spiga racchiudendola, nuovamente entro il suo cartoccio. Prima di passare a preparare il polline di un'altra varietà, con lampada a spirito arrovento la rete dello staccino e lavo il pennellino ed il vetrino con alcool. Trascorsi un paio di. giorni. dalla impollinazione osservando i fiori è facile accorgersi, se l'attecchimento è riuscito o no. Infatti quando la fecondazione è riuscita lo stimma si avvizzisce subito e si va atrofizzando e, contemporaneamente, l'ovario va ingrossandosi crescendo maggiormente nel senso della lunghezza; al contrario ove l'attecchimento è fallito lo stimma persiste e l'ovarlo si allarga senza però crescere in altezza. […] Passati alcuni giorni dalla costatazione dell'avvenuta fecondazione, e propriamente quando sono sicuro che i pochi ovari non fecondatisi hanno perduta ogni possibilità di att'ecchimento per una successiva fortuita impollinazione, tolgo la spiga dal tubo di carta di pergamena e la racchiudo invece entro un sacchetto di garza a maglie larghe circa un millimetro o poco più, ove la lascio sino a maturazione compiuta, per prevenire i furti di. granella da parte di uccelli, formiche, ecc. Con il metodo esposto, nel 1904 ho ottenuto l'attecchimento di 1089 semi su 2720 fiori nel quali tentai la fecondazione artificiale, una riuscita del 40 per conto; nel 1905 su 3692 fiori ibridati ne riuscirono 2379, il 64 per cento; nel 1906 su 4195 ne attecchirono 3387, l'80 per cento. Nell'anno corrente il lavoro di fecondazione artificiale è stato da me alquanto rallentato ma, per compenso (e per scopi certamente non pratici), l'ho anche rivolto ad incroci fra diversi generi e specie di graminacee; togliendo questi ultimi casi e conteggiando le ibridazioni tra varietà e varietà di frumenti, i fiori attecchiti sono 369 contro 381 fecondazioni tentate, un attecchimento del 96.85 per cento.


I grani Strampelli

Il primo momento di messa in pratica del lavoro che Nazareno Strampelli aveva svolto presso l'istituto di Campomoro si ebbe nel 1914, anno di uscita del Carlotta Strampelli.
In realtà, come si deduce da una relazione inviata al Maic, egli era già in possesso di una copiosissima varietà di frumenti tanto che gli incroci già realizzati erano 304, dai quali erano scaturiti decine di migliaia di tipi, 4706 dei quali erano stati fissati, e il frumento che veniva sperimentato e commercializzato, altro non era che uno dei 1086 che tra questi lo scienziato reatino aveva ritenuti validi .
La motivazione che portò Strampelli a mettere in circolazione solo uno dei suoi grani, va ricercata soprattutto nelle difficoltà in cui operava nell’ambiente reatino, come si deduce da una sua relazione del 1914:
Dopo ulteriore studio ed opportune prove colturali, necessarie a precisare il valore di ciascun tipo, attraverso i vari anni ne vennero scartati 3690, mentre i rimanenti 1086 furono giudicati meritevoli di essere conservati. La maggior parte di questi 1086 tipi sono frumenti pregevolissimi, ma dovendo, per ragioni di opportunità locale moltiplicare nella classica pianura reatina, un solo grano, in sostituzione del vecchio Rieti si è creduto dare la preferenza al tipo 637 dell'ibrido Rieti x Massy, (cui fu imposto il nome di Carlotta Strampelli) e di sospendere, conservandoli nelle collezioni, tutti gli altri. Il Carlotta Strampelli ebbe la preferenza per la sua grande adattabilità alle diverse condizioni di coltura e di ambiente; e tale adattabilità è stata confermata dai risultati conseguiti per 4 anni nelle numerose prove regionali fatte da agricoltori e istituzioni agrarie delle varie province d'Italia centrale e settentrionale .
Tra i tanti frumenti che Strampelli aveva creato a Rieti, dopo diversi anni di prove colturali, scelse quindi di pubblicare quello ottenuto incrociando il Rieti con il Massy, da cui derivò il Carlotta Strampelli, un frumento particolarmente indicato per l’area centro-settentrionale, adatto ai climi freddi e alle ruggini, con notevole resistenza allettamento.
Il Carlotta, insieme al Gregorio Mendel venne presentato alla mostra delle novità agrarie del 1914 , e successivamente Strampelli presentò diverse relazioni al Maic sui risultati conseguiti nei diversi campi di prova italiani.
Il Carlotta fu la chiave di accesso di Strampelli nel panorama più accreditato della ricerca agraria italiana, tanto che su tale frumento fu invitato a riferire anche all'Accademia dei Lincei , che nel 1919 gli concesse il premio Santoro di diecimila lire , cosi come fu il banco di prova per l'ambiente agrario reatino che, almeno in parte, rispose alla sollecitazione di coltivare questo primo prodotto innovativo creato a Campomoro , cosi come risposero all'appello molti agricoltori italiani rassicurati dagli ottimi risultati che erano stati raggiunti in via sperimentale, tanto che già nel 1918 100.000 ettari di superficie granaria italiana era coltivata con tale frumento.
Anche l'Institut International d'Agricolture, insieme a tutto il mondo agrario italiano, volle rendere omaggio a Strampelli, e lo fece per iniziativa del barone De Bildt, corrispondente della Svezia, paese che aveva fortemente investito sugli studi relativi all'ibridazione, e del francese Luis-Dop, i quali, nella seduta del comitato permanente dell 'Institut International che si tenne il 29 febbraio 1919, proposero di inviare ufficialmente i rallegramenti a Strampelli per il premio ricevuto dall'Accademia dei Lincei, e di invitarlo a redigere un saggio sul suo lavoro da pubblicare anche nelle edizioni francese e inglese della rivista dell' istituto.
In calce alla lettera il presidente dell'Institut International d'Agricolture, appose la seguente annotazione:
Io so che Ella non ama scrivere articoli. Ho quindi pregato il prof. Cuboni di dettare questo articolo servendosi dell'opera del D.r Orri che Ella conosce.Con questa triplice collaborazione spero che metteremo in luce la importante opera sua e la faremo conoscere al mondo.
Era in effetti nota la reticenza di Strampelli a scrivere del suo lavoro, e pressoché inutili erano le continue richieste dei giornali specializzati, tanto che i più avvertiti neanche gli chiedevano più di redigere uno scritto, ma solo di essere autorizzati a riprendere passi già pubblicati, come il direttore della "Minerva Agraria" che gli chiese "…di riprendere pressoché integralmente " l'articolo sul Carlotta pubblicato negli atti dell'Accademia dei Lincei, , e lo stesso fece il direttore della Stazione agraria di Modena per la redazione dell'enciclopedia agraria della Zanichelli . )
L'introduzione colturale del Carlotta coincise con un triennio di stagioni particolarmente favorevoli, con estati fresche, fino al punto che i risultati di resa ottenuti meravigliarono perfino lo stesso Strampelli, soprattutto perché si raggiungevano anche in aree che egli non aveva ritenuto idonee alle specificità di quel frumento.
Il Carlotta aveva fatto gridare al miracolo, ma in realtà negli anni successivi, con il ritorno di stagioni ad alte temperature estive, in quei territori reputati dallo stesso Strampelli inadatti, il Carlotta venne colpito dalla cosiddetta "stretta" e, contro di esso, si scagliarono le più aspre critiche, sia in relazione alle rese che furono decisamente basse, sia mettendo in discussione le qualità alimentari del prodotto ottenuto.
Nel frattempo Strampelli aveva già pubblicato altri frumenti come il Dauno, l'Apulia e il Varrone , ma il parziale insuccesso del Carlotta lo spinse verso la ricerca dell’ abbreviazione del ciclo vegetativo dei frumenti, proprio per aggirare l'ostacolo della siccità estiva che provocava danni soprattutto nell'ultima fase di maturazione.
Sarebbe stato sufficiente creare un frumento che avesse avuto una maturazione più precoce di 15-20 giorni per aggirare il pericolo della stretta, ma anche per ottenere altri vantaggi, come la possibilità di liberare i fondi dal grano in anticipo, rendendo possibili diverse colture intercalari , cosi come la precocità del raccolto avrebbe consentito nelle zone malariche una minore permanenza dei contadini sui fondi proprio nel periodo di maggiore pericolosità.
Nacque cosi l'Ardito un frumento che maturava circa tre settimane prima degli altri, ottenuto da Strampelli dalla reibridazione di una varietà giapponese l'Akagomuchi, caratterizzata da una altissima precocità ma di nessun valore colturale, con l'ibrido ottenuto incrociando il Rieti con il Wilhelmina , altamente produttivo, ma tardivo nella maturazione.
L'Ardito fu un vero trionfo in quanto non solo maturando prima aggirava il pericolo della stretta, ma rese possibile trasformare diverse colture annuali in intercalari come il riso, il tabacco, il lino ecc. con un notevolissimo vantaggio economico per le aziende agrarie.
All'Ardito fecero seguito nel 1923 altri grani teneri precoci come il Villa Glori, che si impose pressoché generalmente nel nord d'Italia , il Fausto, il Mentana , il Raismondo, l'Edda, nonché il frumento duro Aziziach 17-45, ed altri frumenti tardivi come il Virgilio.
E' di questa fase anche il Terminillo del quale va detto che si tratta di un incrocio intergenerico in quanto ottenuto dall’ ibridazione del frumento Rieti con la segale.
Tale esperimento era già stato eseguito dal Vilmorin nel 1875 con scarsi risultati,e ripreso dallo Strampelli già nel 1904.
A Rieti Strampelli realizzò oltre 800 incroci. Calcolando che ogni incrocio da vita a oltre 1000
diverse forme, egli osservò circa un milione di diverse tipologie frumentarie dalle quali
scaturirono i suoi grani che negli anni '40 ricoprivano 3.134.000 ettari, cioè il 66,5%, della superficie granaria complessiva del Paese, producendo un aumento produttivo di circa 20 milioni di quintali l'anno.
Va in ultimo ricordato che il suo lavoro non si limitò al solo frumento, ma investì altre specie vegetali come il mais , del quale egli si occupò fin dai primi anni del novecento generando numerose varietà caratterizzate da una altissima resa tra i quali il Luigia Strampelli ottenuto dall’ibridazione del Quindici agosto con il Rosso piemontese e l’Eureka (Maggengo reatino x Giallo precoce d'Ausonia).
Nel corso della prima guerra mondiale si occupò anche della barbabietola da zucchero, e questo per incarico della Società Italiana per la Produzione dello Zucchero Indigeno, che non riusciva più ad importare le sementi dall'estero a causa del conflitto mondiale, anche se va tenuto conto che Strampelli aveva iniziato a lavorare in questa direzione fin dal 1907 pubblicando per altro una relazione sul bollettino ufficiale del Maic, e un'altra nei Rendiconti dell'accademia del Lincei.
Numerosi lavori furono poi eseguiti sul ricino a Rieti, S.Angelo Lodigiano e Badia Polesine ( 59 ), sull’orzo nei campo sperimentale di Leonessa , sull'avena e sulla segale, sulle patate anche queste sperimentate a Leonessa e Badia Polesine , cosi come sui pomodori, lenticchie e fagioli, studi che Strampelli abbandono però molto presto per dedicarsi pressoché unicamente alla sperimentazione cerealicola.
La polemica scientifica tra Strampelli e Todaro
Nazareno Strampelli, cosi come è inevitabile per ogni innovatore della scienza, incontro nel suo cammino molte difficoltà nell'affermare le sue idee, e non pochi furono i suoi oppositori.
Egli tuttavia non si lasciò mai coinvolgere in polemiche letterarie, e preferiva non rispondere alle accuse che gli venivano mosse, ritenendo di doverle smentire con i risultati delle sue sperimentazioni.
Merita comunque di esseri ricordata la polemica che egli ebbe con l'altro grande nome della granicoltura italiana del tempo, Francesco Todaro soprattutto perché in essa c'è lo scontro tra due scuole, tra due diversi modi di intendere la granicoltura.
Francesco Todaro impersonava la tradizione scientifica italiana con tutto un bagaglio di certezze largamente accreditato, Nazareno Strampelli la messa in discussione di quanto fino ad allora era stato fatto, e la proposta di un nuovo e rivoluzionario approccio scientifico.
Nel 1918 Strampelli pubblico nel "Bollettino degli agricoltori italiani" un articolo dal titolo "Breve riassunto dei lavori della R.Stazione di granicoltura Sperimentale a Rieti " , nel quale si soffermò sul metodo dell'ibridazione da lui adottato, esaltandone le potenzialità rispetto a quello della selezione.
La data di questo articolo è importante. Siamo nel 1918, quindi a poca distanza di tempo dalla pubblicazione e dai successi del Carlotta Strampelli. Quel grano avrebbe reso famoso Strampelli, ma egli, in quel preciso momento, nascondeva un importante segreto.
Dalle sue ricerche nell'istituto di Rieti non era nato solo il Carlotta, ma decine di altri grani di straordinaria importanza, individuati tra quei 1089 tipi scelti e fissati tra decine di migliaia di varianti osservate.
Tali frumenti rimasero segreti e quindi nel momento in cui Strampelli scrisse quell'articolo, c'era in lui tutta la consapevolezza che il l'applicazione delle ricerche effettuate a Campomoro, avrebbero rivoluzionato la granicoltura mondiale.
Parlando del suo metodo di lavoro egli si lasciò andare ad un entusiasmo che, ai suoi interlocutori che conoscevano solo il Carlotta, suonava perfino come presunzione.
Nell'articolo Strampelli, senza mezzi termini, pose una demarcazione netta tra il suo approccio e quello del Todaro:
Fra il semplice ricercatore o selezionatore genealogico e colui che esegue ibridazioni e ne segue i tipi che ne conseguono, scegliendone e fissandone quelli che corrispondono ai suoi fini , corre la differenza che passa tra colui che esegue scavi per rintracciare opere e l'artista che tali opere d'arte crea
E più oltre:
Se si vuole abbellire una piazza , una corte, un giardino con una statua chi più facilmente riuscirà, colui che la statua va a ricercare con sapienti scavi ... o lo scultore, che provvedutosi del necessario blocco di marmo incomincia con colpi lenti , costanti del suo assiduo scalpello a modellarvi la statua rispondente al soggetto richiesto e nelle dimensione e ragioni prospettiche dell'ambiente?
Poi Strampelli tornò a ribadire un concetto che gli era caro, e che costituisce il punto di messa in discussione delle concezioni darwinistiche da parte dell'approccio mendeliano.
Attraverso l'evoluzione della specie non si genera alcun tipo nuovo, ed anche quando questo avviene, la causa generatrice non è l'evoluzione, ma l' ibridacione casuale con altre specie.
Quindi - prosegue Strampelli - "…non nego che con la sola selezione pedigree si possa avere la fortuna di incappare in ottime varietà; ma ciò è specialmente possibile quando le ricerche si eseguono su materiale impuro, o meglio dove sono state possibili ibridazioni spontanee"
A Francesco Todaro, il massimo esponente della scuola basata sulla selezione genealogica essere descritto come "semplice ricercatore che per fortuna incappa" a differenza dell' ibridatore che è "l'artista che crea", non piacque affatto, e rispose con un articolo "Ibridatori e selezionatori" su "L'Italia Agricola" difendendo la sua scuola basata sulla selezione genealogica.
In primo luogo Todaro mise in evidenza come Strampelli con quell'articolo aveva provocato una netta contrapposizione tra i due approcci scientifici:
…il prof.Strampelli ha voluto separare con un taglio ben netto, il campo di attività dell'ibridatore (L'artista che crea) da quello del selezionatore ( il semplice ricercatore che per fortuna incappa)
Todaro aveva ragione, Strampelli con quell'articolo aveva stabilito un solco incolmabile, non tra due modi diversi di procedere, ma tra i due diversi modi di pensare.
Il suo lavoro non era uno dei tanti possibili. Era un approccio "altro", fondato fu concetti e percorsi di pensiero assolutamente innovativi.
Non quindi uno dei tanti metodi che di tanto in tanto venivano indicati come possibili dai ricercatori, ma un approccio completamente diverso che non poteva non contrapporsi al primo.
E il fatto era tutt'altro che indolore, perché non solo si trattava di ridefinire il quadro scientifico sulla materia, con la consacrazione dell'esistenza di due diverse scuole di pensiero, ma anche di proporsi nei confronti delle scelte governative in termini di finanziamenti, di impianti , insomma di credibilità.
Francesco Todaro questo lo aveva compreso perfettamente, e il suo primo tentativo fu quello di tentare di ricomporre il lavoro di Strampelli all' interno di un quadro più generale del quale egli da molto tempo era considerato il leader indiscusso.
La realtà dei fatti, secondo Todaro, "…non sopporta alcuna imposizione di teorie e vedute per quanto autorevoli", e considerava questa una questione assolutamente fondamentale , quasi ad esorcizzare l'ipotesi di un percorso di pensiero alternativo al suo.
…non esito ad affermare che in confronto del semplice e povero selezionatore, colui che esegue ibridazioni altro non fa - di diverso e di più - che la impollinazione artificiale, con processi a tutti ben noti: delicati ma non estremamente difficili.
Selezionare vuol dire scegliere. E l'ibridatore - al pari del selezionatore - non fa che scegliere: scegliere dapprima fra le razze esistenti, quelle che egli ritiene di poter utilmente ravvicinare o fondere per la costruzione dell'ibrido stesso, e non si arresta che quando è convinto di aver trovato il tipo o i tipi rispondenti ai suoi fini.
Secondo Todaro, nulla di diverso da quello che fa il selezionatore che "…prepara il materiale della prima scelta, e procura di utilizzare nel miglior modo quello da lungo tempo preparato e messo al mondo dal buon vecchio Dio."
Poi si chiedeva:
E' tanto vasta e grave la suaccennata lacuna […] da giustificare la sentenziosa contrapposizione del prof. Strampelli? Il quale mentre vede sapere e arte e magari poteri creativi nell'ibridatore - che pur manca di ogni mezzo di controllo e di ogni sicura previsione sulla discendenza dell'ibrido - crede di poter abbassare il selezionatore al modesto livello di scavi …archeologici.
Todaro ribadiva la superiorità della selezione genealogica la quale secondo lui, restava l'unico metodo "sussidiata o meno dall'incrocio artificiale", per poter garantire la soluzione ai problemi agrari italiani.
Todaro aveva ben intuito che quel lavoro che Strampelli stava svolgendo a Rieti avrebbe finito per minare, o quantomeno ridurre la sua autorevolezza.
Non lo preoccupavano molto i confronti tra i suoi grani e quelli di Strampelli che si andavano diffondendo in Italia (64 ), quanto l'esistenza di un percorso diverso dal suo, le cui potenzialità che allora appena si intravedevano, rischiavano di marginalizzare il suo approccio metodologico.
Strampelli non proseguì nella polemica, e gli anni successivi furono quelli dell'uscita degli altri suoi frumenti che andarono progressivamente a sostituire quelli tradizionali, e a prevalere pressoché ovunque, sulle razze presentate da Francesco Todaro.
Strampelli aveva grande stima di Francesco Todaro, e quella polemica fu solo un atto dovuto per imporre il suo pensiero, e al suo antagonista bolognese egli riservo sempre grande rispetto.
Lo dimostra una lettera che egli inviò a Gino Morassutti, altro agronomo del tempo, tra i molti che volevano mettere a confronto i suoi grani con quelli selezionati a Bologna.
...il prof Mariani mi fece noto che il prof. Todaro è dispiaciuto con me perché tu gli avresti detto che io ti ho proibito (anche con un guai!!!....) di coltivare i frumenti selezionati del Prof. Todaro stesso in confronto coi miei. Io ho subito smentito la cosa perché non solo con te ma con nessuno ho fatto cenno ad una simile esclusione. […] So che entrambi lavoriamo pell’interesse della granicoltura del nostro Paese e non per la nostra personale ambizione. Io poi anche attaccato ingiustamente non rispondo mai, essendo convinto che le polemiche non giovano a chi le fa e tantomeno servono a far progredire la nostra agricoltura65
La polemica la riprese invece Todaro nel 1925 in piena battaglia del grano, ma questa volta non era tanto indirizzata verso la metodologia scientifica di Nazareno Strampelli, quanto con la "moda" dei suoi grani, e con chi, soprattutto la stampa specializzata , la seguivano.
Edito dall' Istituto di cerealicoltura di Bologna che lui dirigeva, pubblicò un opuscolo "Grani in luce e grani in ombra" nel quale cosi esordiva:
Scorrendo al stampa agraria - periodici e fogli volanti - di queste ultime settimane, si può giustamente valutare la formidabile pressione di cui è capace quel quid indefinibile che chiamasi la moda. La quale investe tutte le nostre cose - la nostra stessa persona - e non soltanto (come erroneamente credono le donnette del villaggio) i cappelli, le chiome
e il vestiario delle signore eleganti. Essa avvolge e travolge: tutto e tutti.
Poi riferendosi in tutta evidenza a Nazareno Strampelli, e al suo successo che stava dilagando:
…ci sono in ogni tempo uomini e cose di moda, che hanno tutto il favore della cronaca; per la quale più non esiste ciò che è già di moda. E può scorgersi, a ben guardare, che anche il cronista. Nel diuturno suo divenire, obbedisce a quella pressione universale, se anche possa illudersi di essere - egli - il creatore della moda
Todaro questa volta se la prendeva soprattutto con il frumento Ardito che stava incontrando larghissimi favori nel mondo agricolo italiano, sopperendo agli inconvenienti che aveva presentato il Carlotta qualche anno prima.
Nei periodici agrari la moda oggi comanda - ed il cronista scrive - che il frumento Ardito debba stare in piena luce, bene in vista davanti agli agricoltori italiani; tutti gli altri - giù di moda - restare nella provvida penombra, che sa pietosamente nascondere la mediocrità e la miseria
Certo, ormai Todaro non poteva più disconoscere la validità di Nazareno Strampelli e della sua scuola, e l'unica cosa che intendeva sostenere, probabilmente anche a ragione, era la validità anche dei suoi grani ,e che l'enfasi con cui venne accolto l'Ardito era forse eccessiva.
In effetti l'Ardito, frumento precoce che aggirava i pericoli della stretta e consentiva altre colture nello stesso fondo e nello stesso anno, venne accolto come qualcosa di miracoloso, e Todaro che non potette fare a meno di riconoscere che si trattava di un prodotto validissimo, ma tese a ricondurne le caratteristiche alle sue reali potenzialità , tutto sommato quelle stesse che aveva indicato Strampelli.
“Perché mettere in ombra tutti gli altri grani? ”, si chiedeva polemicamente Todaro, e la risposta era sempre la stessa, "la moda", non comprendendo che in realtà il governo aveva di fatto compiuto la sua scelta nei confronti dei grani Strampelli, gli unici su cui si poteva scommettere per condurre la battaglia del grano.
E che Mussolini avesse compiuta una precisa scelta in questa direzione lo conferma il fatto che quando nominò il Comitato permanente del grano, un superorganismo che egli stesso presiedeva, con l'incarico di elaborare tutti i provvedimenti legislativi a sostegno della battaglia del grano, chiamò a farne parte Strampelli, e relegò Todaro a presiede la commissione provinciale di Bologna.
D'altra parte non era pensabile mettere in gioco la credibilità del regime lanciando la battaglia del grano, e pensare di condurla dopo aver messo in moto una massiccia macchina propagandistica, con le sementi tradizionali delle quali erano ampiamente note le rese e le potenzialità.
Se non si voleva aumentare la superficie granaria, non sarebbe certamente stato un aumento di impiego dei fertilizzanti, ne una più razionale organizzazione colturale, ne tantomeno i vari provvedimenti legislativi a garantire il successo di quella che fu una delle più clamorose applicazioni della politica autarchica del regime.
C'era bisogno di qualcosa in più, e questo erano le sementi create da Nazareno Strampelli a Rieti e che egli aveva tenuto rigorosamente segrete , le quali ora potevano essere messe in campo con tutti i rischi del caso, ma anche con la possibilità che quello che da anni Strampelli sosteneva nelle relazioni che periodicamente presentava al governo, ufficialmente o in forma riservata, fosse tutto vero, e su ciò scommettere.
Una scommessa che, indipendentemente dalle valutazioni di ordine politico, e dalla rilevanza e conseguenza all'interno del quadro economico più generale, sul piano dell'aumento della produzione cerealicola fu certamente vinta, e Francesco Todaro, molti anni dopo, nel 1940, in un'altro articolo emblematicamente intitolato "Rettifiche di rotta" non potette far altro che riconoscere i meriti di Strampelli scrivendo tra l'altro:
Ancora una volta desidero esplicitamente riconoscere che di essi (grani precoci Strampelli) la nostra granicoltura ha potuto e potrà larghissimamente avvantaggiare; e che alte benemerenze sono pertanto legittimamente dovute al camerata Strampelli, che per primo li ha introdotti presso di noi
Ma riprendiamo quella prima risposta di Todaro a Strampelli del 1918, in modo particolare un passaggio specifico che ci consente di evidenziare una ulteriore differenziazione tra Todaro e Strampelli:
"Noi - riferendosi sia a lui che a Strampelli - lavoriamo non per alte spirituali finalità dell'arte, ma per assicurare alle imprese di produzione agrarie il vile, volgarissimo, e pur tanto necessario profitto"
Nella prospettiva finale del Todaro, e lo diceva senza mezzi termini, c'era l'industria agraria, e il suo lavoro sembra essere posto al servizio di quell'agricoltura capitalistica che sempre di più si poneva in modo egemone nel panorama economico del Paese.
Non che Strampelli lavorasse in contrapposizione a tale prospettiva, ma il suo lavoro sembra più collocato in una dimensione politica generale indirizzata ad affrontare un problema indipendentemente da chi ne avesse reso possibile la realizzazione, e da chi ne avrebbe beneficiato.
Strampelli iniziò il suo lavoro scientifico durante nel periodo giolittiano, attraversandolo trasversalmente in ogni sua sfumatura, crebbe durante il governo Calandra, e mise in pratica i risultati della sua ricerca durante il fascismo, indipendentemente se essi fossero andati a beneficio dei grandi agrari o delle masse contadine.
Era uno scienziato per cosi dire "puro", e Todaro aveva torto anche quando ironizzava sulle citazioni artistiche di Strampelli, perché in fondo la creatività era una delle molle principali che accompagnarono il suo lavoro, insieme ad una sorta di ossessione epistemologica rispetto alla sua attività di ricerca, e morale, rispetto agli obiettivi.
Egli si sente investito di una missione; quella di rendere un grande servizio all'Italia. Lo ripete costantemente in ogni occasione, e non è un atteggiamento retorico d'immagine, in quanto questa convinzione la si ritrova espressa anche nella documentazione più intima e privata, e di essa era pienamente consapevole la sua compagna Carlotta.
Cosi,ad esempio, quando la moglie lo prega di recarsi presso il policlinico di Roma per curarsi di alcuni malanni si esprime nei seguenti termini:
Se ti piacesse andare al Policlinico, ove non occorre prendere appuntamento , ed ove troveresti tutti i dottori necessari potresti andare con Frances, che li conosce ; altrimenti va da chi credi , basta mi contenti e mi fai questo piacere. Ora non puoi dirmi che costa troppo, perché hai per curarti, ed è obbligo, dovere e necessario che curi e mantieni la tua salute più a lungo, e meglio che puoi. Se non lo fai sei un egoista, mentre il farlo, è per bene degli altri, e mi sembra che ciò che sempre hai desiderato di fare.
Nel 1932 rispondendo a coloro che gli rimproveravano di pubblicare troppo poco del suo lavoro egli scrisse:
Se avessi voluto pubblicare tutto ciò che di interessante, anche dal solo punto di vista teoretico, mi si è presentato nel corso dei miei lavori e delle mie esperienze, su tutti gli argomenti e problemi di cui mi sono occupato, avrei certo accumulato una letteratura copiosissima, ed oso dire anche interessante, giacché avrei tra l'altro documentato nella stampa la priorità di osservazioni che sono invece rimaste nei miei registri di lavoro.[...]L'uomo che allarga ogni giorno il suo dominio su tutto ciò che lo circonda non è padrone del tempo, il grande galantuomo che tutto mette a posto. E il tempo è a me mancato di fare tante cose che pure avrei desiderato veder compiute.[...]
Le mie pubblicazioni, quelle a cui tengo veramente, sono i miei grani: non conta se essi non portano il mio nome; ma ad essi è e resta affidata la modesta opera mia, svolta nell'interesse della granicoltura del mio Paese
Ma ancor più questa tendenza si deduce nel momento della nascita dell'Istituto Nazionale di Genetica che,come abbiamo visto, è stato pensato totalmente da lui senza che ne abbia mai rivendicato la primogenitura.
Non progettarlo, e lo scrisse senza mezzi termini, non pretendeva neanche corrispettivi economici "… perché a me basta mi sia data la possibilità di raggiungere l'immensa soddisfazione di rendere un grande servizio al mio Paese"
In realtà Strampelli era ben cosciente di avere in mano gli elementi per compiere qualcosa di davvero significativo nel panorama scientifico mondiale, ed in fondo riuscì ad essere anche un buon organizzatore di se stesso, riuscendo nel compito, tutt'altro che facile, di far transitare i suoi progetti sempre per le strade che ne consentissero la realizzazione, indipendentemente dai governi a cui dovette far riferimento nel corso della sua esperienza scientifica.
Non c'è dubbio che il ruralismo fascista, ed in particolare la battaglia del grano, rappresentarono una vera e propria fortuna per Strampelli che si trovò a poter offrire il prodotto giusto al momento giusto.
Fu proprio in questo contesto che egli fece uscire i suoi frumenti dai contenitori di laboratorio, ed ebbe la possibilità di verificarne l'applicazione economica su tutto il territorio nazionale.
Va infatti specificato che fino ad allora l'opera di Strampelli, cosi come quella degli altri ricercatori, si svolgeva su un piano di mera disquisizione scientifica.
Basti pensare che, fatta eccezione per il periodo in cui venne presentato il frumento Carlotta nel 1914, che ebbe un discreto indice di applicazione, ancora nel 1927, quindi all'inizio della battaglia del grano, l'unico frumento Strampelli coltivato con una certa consistenza in Italia era l'Ardito, utilizzato su una superficie complessiva di circa 170 mila ettari. Cioè adire poco più del 3% della superficie granaria italiana.
Nello stesso anno il Rieti originario era ancora coltivato su 271 mila ettari, cioè a dire oltre il 5% della superficie, e i frumenti derivati dalla selezione genealogica di Francesco Todaro occupavano una fetta molto più consistente.
Una situazione che appena cinque anni dopo si era incredibilmente capovolta.
Come vedremo in modo più specifico in seguito, i grani Strampelli nel 1932 ricoprivano oltre il 30 % della superficie granaria nazionale, e nel 1940 la percentuale aveva superato il 50% con regioni come il Piemonte, la Lombardia, la Venezia Giulia dove la percentuale saliva al 70 –80 e anche oltre il 90 %.
Una vera e propria rivoluzione che non solo è unica in campo agrario a livello mondiale, ma che per tempi reali di concretizzazione, trova ben pochi altri esempi in generale sul piano delle applicazioni scientifiche, soprattutto di quelle legate alla manipolazione genetica.


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